black hat seo

Black hat SEO: le tecniche punite dai motori di ricerca

Il black hat SEO, con cui si vuole proprio intendere cappello nero, è un appellativo utilizzato per descrivere tutte quelle operazioni fuorvianti in grado di raggirare i motori di ricerca. Le tecniche adoperate a tale scopo sono numerose, ma sono facilmente scovabili e quindi punite con sanzioni ben peggiori di una semplice multa: l’esclusione dai risultati di ricerca.

Le origini del black hat SEO

Prima che Google diventasse il leader indiscusso dei motori di ricerca, almeno per quanto riguarda l’occidente, era possibile ricorrere a una serie di manipolazioni in grado di migliorare la visibilità di pagine e di siti web in SERP, Search Engine Results Pages. Non che queste opzioni non siano più disponibili, ma i tempi cambiano, così come i browser e gli algoritmi che li governano.

Cambiano le modalità in cui i contenuti sono indicizzati, elencati e mostrati. Tutti fattori che contribuiscono al ranking, ossia il tanto ambito podio a cui tutti aspirano. In passato queste tecniche erano molto più comuni ed era piuttosto semplice scalare la classifica dei risultati anche per i dilettanti.

Oggi aggirare Google è tutt’altro che facile. Anzi, sono rimasti davvero in pochi a dilettarsi in questo gioco. Una puntata simile a quella di una roulette e che in buona parte dei casi porta alla penalizzazione e alla scomparsa dei propri risultati dal web. 

black hat

Leggi anche: Content Creator: cosa fa e perché è importante per la tua attività

Etimologia del black hat

L’origine etimologica del black hat rispecchia in parte questo essere etichettati e banditi per azioni illecite. Si rifà in particolare ai cappelli neri indossati dai criminali nel vecchio mondo western. Al contrario, coloro che operano secondo le regole e scelgono le norme supportano il meglio noto white hat SEO.

A seconda dei metodi usati, i motori di ricerca riescono a verificare attraverso il codice markup e gli elementi che costituiscono il sito, quali contenuti siano da penalizzare e quali da premiare.

Ma andiamo a vedere più nello specifico di cosa si tratta.

Black hat SEO: eludere i motori di ricerca

I motori di ricerca sono gli strumenti attraverso il quale ognuno di noi può digitare una parola o una frase in rete e trovare una risposta all’istante. Con miliardi di contenuti e siti sul web, se non ci fossero dei filtri avanzati e aggiornamenti costanti, la ricerca in internet sarebbe una vera caccia al tesoro.

I risultati infatti sono catalogati e scelti secondo algoritmi complessi. Google per il ranking in SERP considera circa 200 fattori differenti, tra i quali sono di primaria importanza:

  • parole chiave
  • pertinenza
  • qualità e quantità dei contenuti
  • autorevolezza sito e autore

Ed è per soddisfare questi punti che sono sorte e ancora sorgono le disparate tecniche elusive per posizionarsi in alto sul web.

black hat seo

Leggi anche: Cosa fa il consulente SEO: le ragioni per sceglierlo

Cosa è il SEO black hat

Il black hat SEO consiste nel cercare una strategia ad hoc per scalare la SERP nel minor tempo possibile. Infatti, in poco più di qualche giorno è possibile attuare interventi di matrice tecnica che consentono ad una pagina o ad un sito di raggiungere le prime posizioni su di un motore di ricerca.

Ma il problema è che oltre a violare i termini dei motori di ricerca e talvolta anche a infrangere la legge, ha un rischio piuttosto elevato di compromettere la visibilità digitale. La classica situazione in cui il gioco non vale la candela.

Questo modus operandi è anche definito spamdexing. Il termine infatti è composto dalle parole spam e indexing, che vogliono per l’appunto indicare il processo di indicizzazione con tecniche spam.

Diverse operazioni sono ormai individuate all’istante da Google e hanno vita breve. Altre ancora riescono a penetrare nelle falle del sistema. Ma quali sono le modalità di intervento utilizzate per trarre in inganno i motori di ricerca?

Come riconoscere un trucco di black hat

Le ragioni per cui Google, ma anche Bing, Firefox e Yahoo, penalizza le azioni manipolatrici di Esperti SEO e webmaster sono semplici da intendere. In primis, soggiogando gli algoritmi si vanno a penalizzare tutti coloro che lavorano e investono tempo e denaro per ottenere la giusta visibilità sul web.

Ogni qualvolta si cerca di creare contenuti con il solo intento di aumentare il ranking sui motori di ricerca a discapito del valore, si incomincia a oltrepassare una soglia che Google ritiene imprescindibile. Se un sito web non migliora in alcun modo l’esperienza utente, non aggiunge valore o è privo di fondamenta, è in automatico tacciato come di seconda categoria.

SEO

Leggi anche: Posizionamento Google: come migliorarlo in maniera efficace

Keyword staffing

Il black hat si può presentare sotto forma di Keyword staffing. Questo prevede l’inserimento di un numero di parole chiave elevato in qualsiasi sezione del codice markup, anche dello stesso colore dello sfondo, per aumentarne la quantità ma in maniera da risultare invisibile all’utente. 

Cloaking

Questa tecnica è adoperata su siti web dinamici. Nel momento in cui la pagina viene scansionata da spider e crawler, il contenuto mostrato è diverso da quello visto dagli utenti. Un camuffaggio che come un mantello nasconde le vere intenzioni.

Desert scraping

Seppur meno in voga di un tempo, l’acquisto di domini scaduti è ancora una pratica in uso. Il problema dell’effettuare un’operazione del genere consiste nella storia del dominio. Se ad esempio quest’ultimo era già stato penalizzato da Google o si ritrova con link di bassa qualità, ogni sforzo sarà vano. Inoltre, è ormai acclarato che un vecchio dominio non aiuti il SEO.

Link building a pagamento

È di sicuro tra le tecniche più utilizzate per migliorare l’autorevolezza nel web. L’acquisto di link in stock e illegalmente, perché è una vera e propria infrazione delle regole, è un’opzione considerata dannosa. In particolare se i link sono di bassa qualità e non si riesce ad ottenere lo scopo degli stessi, ossia aiutare l’utente a cercare contenuti di valore nel web.

link building seo black hat

Leggi anche: SEO marketing: 6 consigli su come ottimizzare un sito web

Doorway o Gateway

Sono pagine che andavano molto di moda i primi anni del 2000. Queste pagine presentavano centinaia di parole chiave inserite per ingannare i motori di ricerca. Nella maggior parte dei casi queste sono un ponte che attraverso dei reindirizzamenti JavaScript o un link da cliccare, conduce alla pagina reale.

White o black hat

La risposta è white e non solo per le regole, ma anche per i risultati che si raggiungono. Rischiare di mettere in atto tecniche illecite per ottenere subito un buon posizionamento è poco proficuo. Il danno più grande può essere quello di essere del tutto banditi dai motori di ricerca e scomparire dal web.

Per attuare una strategia SEO in linea con le condizioni richieste da Google e dalla legge necessita di tempo e dedizione. Ma a lungo andare ripaga e anche bene. Le scorciatoie non aiutano infatti e possono precludere ogni intervento futuro poiché ripristinare e correggere gli errori e le penalizzazioni non è per nulla semplice oltre a richiedere tanto tempo.

Per questa ragione è meglio conoscere le tecniche concesse da Google e agire di conseguenza. Le strategie che ripagano sono quelle a medio-lungo termine. E per crearle è meglio chiedere il supporto di un esperto nel campo e che operi evitando qualsiasi trucco di black hat SEO. 

The Smart Fox si propone come ambasciatrice per la produzione di contenuti originali, attenendosi alle regole dei motori di ricerca. L’esperienza nel settore ci consente di attuare una strategia SEO mirata con un occhio di riguardo al SEO Audit e al perfezionamento tecnico.

Informazioni sull'autore

Torna in alto